LO SPRECO ALIMENTARE, SCOPRIAMO COSA POSSIAMO FARE!

Lo spreco alimentare è stato definito in vari modi e con diverse accezioni nel corso del tempo. C’è chi ha distinto tra food losses(perdite di beni lungo la filiera agroalimentare) e food waste (spreco di cibo nelle fasi di vendita e consumo), chi considera spreco di cibo qualsiasi sua destinazione diversa dal consumo umano e chi invece ritiene che riutilizzare gli scarti dalla catena agroalimentare per l’alimentazione animale, per produrre fertilizzanti o bioenergia sia uno spreco solo parziale.

Qualsiasi definizione si voglia prendere in considerazione, tra quelle sotto riportate a titolo esemplificativo ed altre attribuite a questo fenomeno, sicuramente dobbiamo considerare lo spreco alimentare come lo specchio della cultura consumistica del nostro tempo. Come un problema che pone con forza in risalto le enormi diseguaglianze tra chi può scegliere ogni giorno cosa e quanto mangiare, e anche permettersi di gettare ciò che non è riuscito a consumare, e chi soffre la fame.

Nell’affrontare questo argomento, bisogna inoltre tener presente che si tratta di un problema complesso da affrontare e risolvere, perché coinvolge tanti soggetti diversi, dalla filiera agroalimentare – agricoltori, produttori e distributori – ai consumatori finali, passando per la ristorazione. E per la soluzione del quale servono anche politiche pubbliche in grado di promuovere un processo dinamico e virtuoso di economia sostenibile. Ognuno di questi attori incide, in maniera diversa, sul processo che porta a trasformare porzioni di cibo in rifiuto e quindi può offrire il proprio contributo perché lo spreco si riduca.

ALCUNE DEFINIZIONI ATTRIBUITE AL FENOMENO

Nel 1980 la FAO

(Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura) parla di “spreco o perdita di cibo successivo al raccolto”, facendo riferimento alla quantità di materiale sano ed edibile destinato al consumo umano che si perde tra la separazione del frutto dalla pianta e l’arrivo del prodotto sulla tavola. In questa definizione non sono considerati cibo gli alimenti destinati agli animali e gli scarti, quali bucce, gambi, foglie, ecc.

Nel 2010, invece, alcuni studiosi inglesi…

(Julian Parfitt, Mark Barthel e Sarah Macnaughton) pubblicano un saggio nel quale distinguono tra perdite alimentari e spreco di cibo in base al punto della catena agroalimentare in cui avvengono: il food losses riguarda le fasi di raccolta, post stoccaggio e produzione; il food waste i venditori e i consumatori. Anche se poi specificano che utilizzeranno per tutte le fasi il termine food waste, perché in effetti lo spreco si può verificare nei differenti punti della catena alimentare.

Nel 2011 il SIK…

(Swedish Institute for Food and Biotechnology), in uno studio commissionato dalla FAO, definisce sprechi e perdite di cibo, nell’ambito degli alimenti destinati originariamente al consumo umano, tutti gli alimenti che non rientrano più in quella filiera ma sono indirizzati ad un uso diverso (mangime per animali, bioenergia).

Sempre nel 2011, invece, nel…

Libro nero dello spreco alimentare in Italia: il cibo, Andrea Segrè e Luca Falasconi definiscono spreco i “prodotti alimentari scartati dalla catena agroalimentare, prodotti che hanno perso valore commerciale, ma che possono ancora essere destinati al consumo umano”, escludendo quindi i cibi non più recuperabili per il consumo umano e quelli che vengono recuperati con finalità differenti (produzione di mangimi o di energie rinnovabili) perché lo spreco in quel caso è solo parziale.

Nel 2012 il Parlamento Europeo…

approva la Relazione su come evitare lo spreco di alimenti: strategie per migliorare l’efficienza della catena alimentare nell’UEdell’eurodeputato italiano Salvatore Caronna. In questo documento lo spreco alimentare viene definito “l’insieme dei prodotti alimentari scartati dalla catena agroalimentare per ragioni economiche o estetiche o per prossimità della scadenza di consumo, ma ancora perfettamente commestibili e potenzialmente destinabili al consumo umano e che, in assenza di un possibile uso alternativo, sono destinati ad essere eliminati e smaltiti producendo esternalità negative dal punto di vista ambientale, costi economici e mancati guadagni per le imprese”. Questa definizione apre la strada al riutilizzo per l’alimentazione animale o per fertilizzare i campi di derrate alimentari scadute che potrebbero essere dannose per il consumo umano.

Sempre nel 2012 tre studiosi del Politecnico di Milano (P. Garrone, M. Melacini, A. Perego)…

pubblicano lo studio Dar da mangiare agli affamati: le eccedenze alimentari come opportunità dove definiscono “eccedenza alimentare” «i prodotti alimentari o il cibo commestibili e sicuri che per varie ragioni non sono acquistati o consumati dai clienti e dalle persone per cui sono stati prodotti, trasformati, distribuiti e serviti o acquistati»; sono esclusi dalla definizione gli scarti della lavorazione. “Spreco alimentare” è «l’eccedenza alimentare che non è recuperata per il consumo umano (ottica sociale), per l’alimentazione animale (ottica zootecnica), per la produzione di beni o energia (ottica ambientale)». L’eccedenza alimentare è pertanto sia ricchezza, quantificabile in risorse disponibili per soddisfare il bisogno degli indigenti, che spreco, perché buona parte di questa eccedenza diviene rifiuto.

Nel 2014 il progetto di ricerca europeo FUSIONS…

ha promosso uno studio per definire i limiti esatti della catena agroalimentare e costruire una definizione di spreco che tenesse conto della catena di produzione del cibo e della destinazione delle risorse. In questa visione è cibo sprecato tutto quello che non viene valorizzato o perché usato per nutrire gli animali o per essere riciclato in materiali con base biologica.